mercoledì 15 aprile 2020

La fase 2 della moda. Come il Covid19 cambierà tutto



Come risponderà il settore moda allo stop causato dalla pandemia del Covid-19? I numeri parlano chiaro; si ipotizza un danno di 40 miliardi considerando la cancellazione delle sfilate, lo stop della produzione e quello delle vendite. Uno scenario per nulla incoraggiante paragonato allo scorso anno con un calo di incassi che sfiora il 50%. A tal proposito la Camera della Moda Italiana ha stilato un documento di 13 punti destinato al presidente del Consiglio e ai ministri competenti "per aiutare la seconda industria del Paese" ad uscire dall’oblio contenendo e gestendo al meglio i danni provocati dallo squilibrio finanziario, produttivo ed occupazionale. Portabandiera di una nuova visione più etica e responsabile è sicuramente Giorgio Armani che con una lettera aperta al magazine wwd spiega la necessità di un rallentamento del settore moda.
"Il declino del sistema moda, per come lo conosciamo, è iniziato quando il settore del lusso ha adottato le modalità operative del fast fashion con il ciclo di consegna continua, nella speranza di vendere di più, io non voglio più lavorare così, è immorale"
Il designer è stato il primo tra i grandi nomi internazionali a sospendere il 23 febbraio la sfilata donna della Milano Fashion Week e a convertire tutti i suoi stabilimenti produttivi della Penisola nella produzione di camici monouso destinati alla protezione individuale degli operatori sanitari impegnati a fronteggiare l’emergenza Covid-19

"Non ha senso che una mia giacca, o un mio tailleur vivano in negozio per tre settimane, diventino immediatamente obsoleti, e vengano sostituiti da merce nuova, che non è poi troppo diversa da quella che l’ha preceduta", ha continuato Armani.
"Ho sempre creduto in una idea di eleganza senza tempo, nella realizzazione di capi d’abbigliamento che suggeriscano un unico modo di acquistarli: che durino nel tempo. Per lo stesso motivo trovo assurdo che durante il pieno inverno, in boutique, ci siano i vestito di lino e durante estate i cappotti di alpaca, questo per il semplice motivo che il desiderio d’acquisto debba essere soddisfatto nell’immediato. Chi acquista i vestiti per metterli dentro un armadio aspettando la stagione giusta per indossarli? Nessuno, o pochi, io credo. Ma questo sistema, spinta dai department store, è diventata la mentalità dominante".

La crisi deve trasformarsi in opportunità; "per rallentare tutto, per riallineare tutto, per disegnare un orizzonte più autentico e vero".

"Da tre settimane lavoro con i miei team affinché, usciti dal lockdown, le collezioni estive rimangano in boutique almeno fino ai primi di settembre, com’è naturale che sia. Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre la possibilità di aggiustare quello che non va, di togliere il superfluo, di ritrovare una dimensione più umana. Questa è forse la più importante lezione di questa crisi".

Una rivoluzione che riporta al centro la figura del cliente e non più l’evento o la sfilata; una moda che rappresenta i suoi gusti e rispetta il tempo vissuto, non quello futuro. Il tempo che sta iniziando forse ora ad apprezzare di più. Uno stile concreto, nel rispetto dei tempi, delle stagionalità e soprattutto duraturo. Re Giorgio docet.

Fiammetta Fiorito

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